Centro Culturale Francescano. Commento al XXIX Canto del Paradiso

Centro Culturale Francescano- Mondragone (Ce)

Lectura Dantis Sinuessana – 3 marzo 2012, ore 18,30

              Canto XXIX del Paradiso

Commento del Prof. Antonio Rungi

Docente del Liceo Statale “G.Galilei”- Mondragone

 

Introduzione

 

Nel mio intervento di questa sera non intendo assolutamente esaurire tutte le tematiche che sono sottese al Canto XXIX del Paradiso, anche perché in poco tempo sarebbe impossibile. Su questo e su tutti i canti della Divina Commedia e della produzione letteraria di Dante si sono scritti  moltissimi libri e versati fiumi copiosi d’inchiostro. Ancora oggi il Sommo Poeta, come anche il testo fondamentale della sua attività letteraria, la Divina Commedia, fanno scrivere e parlare, fanno sviluppare ulteriori studi, catturando l’interesse degli esperti e dei giovani, di quei giovani che nei vari gradi di scuola sanno apprezzare, anche attraverso l’insegnamento dei propri docenti, quest’opera fondamentale della letteratura mondiale.

Ringrazio in particolare i giovani e gli studenti qui presenti. Ma ringrazio tutti gli intervenuti. Il vostro interesse per la Divina Commedia non fa che accrescere la convinzione dentro di me, che la vera cultura passa attraverso la riscoperta e valorizzazione del patrimonio letterario dei secoli passati.

Sono qui stasera, per prestare il mio umile servizio all’importante lavoro che da anni ormai sta portando avanti il Centro Culturale Francescano con la Lectura Dantis Sinuessana.

A tutti i membri del passato e del presente di questo Centro di promozione culturale della nostra città, va il mio ringraziamento, per l’invito che mi hanno rivolto e che ho accolto volentieri in nome di una antica amicizia e di sincera collaborazione, che non è venuta mai meno, anche se oggi siamo solo più lontani geograficamente.

Ringrazio in particolare padre Massimo Cardito, mio amatissimo confratello nel sacerdozio, erede di un patrimonio culturale e spirituale che si ispira al Poverello d’Assisi, la cui spiritualità che deve assolutamente continuare a vivere qui a Mondragone. Questa città può fare a meno, forse, di altri istituti religiosi, ma dei Francescani assolutamente no.

Lo attesta questo storico convento e la straordinaria devozione che il popolo di questa città attribuisce ai santi della famiglia francescana.

Il mio intervento, pertanto, verte nel presentare i tratti essenziali del Canto XXIX, che è incentrato sull’angelologia, la teologia che parla degli “Angeli”.

Questa sera mi limito a rilevare la concezione di Dante  circa gli Angeli. Una concezione medioevale che in quel contesto culturale e di conoscenza biblica e teologica aveva la sua validità, essendo fondata sulla sacra scrittura e sulla teologia scolastica.

Stasera, quindi, parliamo di angeli, anzi di noi stessi, in quanto nel profondo del nostro cuore ognuno vorrebbe essere un angelo, termine per indicare qualcosa di superiore, invisibile, che è aspirazione di ogni umano desiderio.

Siamo in Quaresima e il discorso calza a proposito, essendo questo il tempo della conversione e della purificazione per la chiesa cattolica.

Di Angeli si parla nell’Antico e Nuovo Testamento, ma anche nella Divina Commedia, come ci attesta il Canto XXIX del Paradiso.

In questa sede parliamo dei veri angeli, quelli che secondo la dottrina cristiana sono stati creati da Dio e sono creature celestiali.

Vi riporto quello che troviamo scritto nel Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato dal Beato Giovanni Paolo II. Vi consiglio per un approfondimento dottrinale e per un confronto tra la teologia attuale sugli angeli e quella di Dante di leggere il Catechismo articoli. 325-336.

 

Chi sono?

 

“Sant’Agostino dice a loro riguardo: “La parola angelo designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo”. In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che “vedono sempre la faccia del Padre. . che è nei cieli”, essi sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola” (CCC, 329). “In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali  e immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria”(CCC,330).

 

1.Dante e la teologia sugli Angeli

 

Anche Dante Alighieri nella Divina Commedia non poteva non affrontare questo argomento di carattere teologico e biblico.

Si è discusso tanto nei secoli su come sono fatti gli angeli, sulla loro struttura e composizione visibile. Ma sono argomentazioni che utilizzando linguaggio antropologico certamente non posso essere spiegati perfettamente.

Anche l’organizzazione interna alla “cooperativa angelica” ha una sua valenza di carattere dottrinale, che dice, ovviamente, stretto rapporto alla fede cristiana-cattolica.

Le gerarchie angeliche hanno quindi un significato e valore nel contesto di un approfondimento biblico e teologico, che la Divina Commedia, specie del Canto XXIX del Paradiso, ci chiede di svolgere.

 

2. La struttura del Canto

Siamo  nel IX Cielo (Primo Mobile).

È la sera di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.

3.1. Beatrice resta un istante in silenzio (vv. 1-9)

3.2. Spiegazione di Beatrice: la creazione degli angeli (vv. 10-48). Beatrice teologa, spiega la natura degli angeli.

3.3 Gli angeli ribelli e gli angeli fedeli (vv. 49-66)

3.4. Le facoltà angeliche (vv. 67-84)

3.5. Beatrice condanna i vani e falsi predicatori (vv. 85-126).

Il caso di Frate Cipolla e la piuma dell’Arcangelo Gabriele.

3.6. Il numero degli angeli. La grandezza di Dio (vv. 127-145).

 

3. Parafrasi

 

Quando entrambi i figli di Latona (il Sole e la Luna), sotto le due costellazioni di Ariete e Bilancia, fanno entrambi cintura dell’orizzonte, quant’è il tempo che passa dal momento in cui lo zenit li tiene in equilibrio fino a quello in cui si liberano dalla cintura cambiando emisfero, altrettanto tempo Beatrice restò in silenzio e sorridente, guardando fisso nel punto luminoso che aveva sopraffatto la mia vista.

Poi iniziò: «Io dico e non ti chiedo quello che vuoi sentire, perché io l’ho letto là (nella mente di Dio) dove ogni tempo e ogni luogo si concentrano.

Non al fine di accrescere il proprio bene, cosa impossibile, ma affinché il suo splendore fosse riflesso in altri esseri che dicessero “Io esisto”, l’amore eterno di Dio si moltiplicò in altri amori (negli angeli), come gli piacque, nella sua eternità fuori del tempo e dello spazio.

Questo non significa che prima giacesse inoperoso, dal momento che nella creazione divina di questi Cieli non ci fu un prima né un dopo (il tempo non esisteva al di fuori della creazione).

La forma e la materia, unite fra loro e pure, crearono degli esseri che non avevano imperfezioni, come tre saette vengono scoccate da un arco con tre corde.

E come il raggio luminoso risplende attraverso un corpo trasparente, in modo tale che tra il suo giungere e il brillare non c’è intervallo di tempo, così il triforme atto creativo di Dio si irradiò insieme nel suo essere, senza successione di tempo.

L’ordine e la struttura del cosmo furono concreate insieme; e gli angeli, prodotti dall’atto puro, occuparono la parte più elevata dell’Universo; la potenza pura occupò la parte più bassa (il mondo sensibile); nel mezzo, atto e potenza furono stretti insieme (nei Cieli) da un legame tanto saldo, che non può mai essere sciolto.

San Girolamo scrisse che gli angeli furono creati molti secoli prima della creazione del mondo sensibile;  ma la verità che io ho esposto è scritta in più luoghi delle Sacre Scritture, e tu lo capirai se le leggi con attenzione; e anche la ragione lo può capire, dal momento che non è possibile che i motori dei Cieli (le intelligenze angeliche) esistessero per tanto tempo senza giungere a perfezione, inoperose.

Ora sai dove, quando e come furono creati questi amori (gli angeli): cosicché già tre tuoi desideri sono stati appagati.

Non si arriverebbe, contando, al venti, così rapidamente come una parte degli angeli turbò il soggetto dei vostri elementi (la Terra, con la propria ribellione).

L’altra rimase fedele, e iniziò l’opera di fissare nella mente di Dio che tu vedi qui, con tale gioia che non smette mai di ruotare attorno al punto luminoso (Dio stesso).

La causa della caduta fu la maledetta superbia di colui (Lucifero) che tu hai visto schiacciato da tutti i pesi del mondo, confitto al centro della Terra.

Quegli angeli che vedi qui, invece, ebbero la modestia di riconoscere di essere stati creati dalla bontà divina, dotati di una tale intelligenza: perciò la loro visione di Dio fu accresciuta dalla grazia illuminante e dal loro merito, dal momento che sono dotati di volontà ferma e piena;  e non voglio che tu abbia dubbi, ma devi essere certo che il ricevere la grazia è un merito, commisurato alla volontà di ottenerla.

Ormai puoi capire da solo molte cose intorno a questa assemblea (degli angeli), senz’altro aiuto, se hai compreso bene le mie parole.

Ma poiché sulla Terra nelle vostre scuole filosofiche si insegna che la natura angelica è tale che possiede intelletto, volontà e memoria, parlerò ancora, perché tu veda la verità schietta che nel mondo viene confusa per gli equivoci di siffatti insegnamenti.

Queste intelligenze angeliche, non appena furono felici contemplando Dio, non distolsero lo sguardo dalla sua mente, da cui nulla può essere celato: perciò la loro visione non è interrotta da alcun nuovo oggetto, e dunque non hanno bisogno di ricordare concetti acquisiti in diversi momenti; allora sulla Terra si sogna ad occhi aperti, dicendo cose inesatte in buona e cattiva fede; tuttavia chi è in malafede suscita più vergogna ed è più colpevole.

Voi, filosofando sulla Terra, non percorrete un’unica strada: a tal punto siete trasportati dall’amore e dal desiderio di apparire!

E questo, tuttavia, quassù è tollerato con minore disdegno, rispetto a quando la Sacra Scrittura è trascurata oppure deformata.

Voi non pensate al sangue versato per diffondere nel mondo la parola di Dio, e quanto piace (a Dio) chi si unisce ad essa con tutta umiltà.

Ciascuno, per fare sfoggio di sapienza, si ingegna e produce delle invenzioni; e quelle sono trattate ampiamente dai predicatori, che trascurano il Vangelo.

Qualcuno afferma che, nella passione di Cristo, la Luna tornò indietro e si interpose al Sole in un’eclissi, causandone così l’oscuramento; e dice il falso, poiché la luce del Sole si oscurò da sola: infatti tale eclissi fu vista dagli Spagnoli e dagli Indiani, come dagli abitanti di Gerusalemme.

Firenze non ha tanti Lapi e Bindi quante sono le favole che ogni anno si gridano dal pulpito in ogni luogo; cosicché le pecorelle (i fedeli) ignoranti tornano dal pascolo dopo essersi cibate di vento, e non è una scusante il fatto di non vedere il proprio danno.

Cristo non disse ai suoi primi Apostoli: ‘Andate e predicate ciance ai fedeli’, ma diede loro un fondamento di verità; e nelle guance degli Apostoli risuonò soltanto quello, sicché usarono il Vangelo come scudo e lance per combattere e diffondere la fede.

Ora i predicatori si esibiscono in motti e lazzi, e purché abbiano suscitato il riso si gonfiano di orgoglio e non chiedono altro.

Ma nel cappuccio si annida un tale uccello (il demonio), che se fosse visto dal popolo questo capirebbe quanto valgono le indulgenze in cui sperano; perciò in Terra è cresciuta una tale stupidità che, senza prova di alcuna testimonianza, si corre dietro ad ogni promessa.

Con questo sant’Antonio Abate (l’Ordine antoniano) ingrassa il maiale e molti altri che sono ancora più porci (concubine, figli…), pagando monete senza conio (vendendo false indulgenze).

Ma dal momento che ci siamo allontanati molto con questa digressione, riporta lo sguardo verso la strada dritta (l’argomento angelologico), cosicché la via sia percorsa in breve tempo.

La natura degli angeli cresce di numero da un ordine all’altro, al punto che nessun discorso o intelletto umano può concepirlo; e se tu consideri ciò che è rivelato da Daniele, vedrai che nelle migliaia di angeli di cui parla il numero determinato resta celato.

La luce di Dio, che irraggia tutti gli angeli, viene da essi recepita in modo diverso, per quanti sono gli splendori a cui si unisce.

Dunque, poiché all’atto della visione di Dio segue l’amore, la dolcezza di questo amore è ardente e tiepida negli angeli in maniera lievemente diversa.

Vedi ormai l’altezza e la generosità dell’eterna potenza di Dio, dal momento che si riflette in così tanti specchi (gli angeli), pur restando uguale a se stessa e unica come prima».

 

 

 

 

4. Note esplicative

 

Al v. 4 cenìt  è voce araba per «zenit». Inlibra  vuol dire «tiene in equilibrio» e Dante indica lo zenit come il punto più alto di una bilancia, i cui piatti sono Sole e Luna; ciascuno dei due astri si libera (si dilibra) passando al di sotto o al di sopra della linea dell’orizzonte.

Al v. 15 Subsisto è lat. che vuol dire «io esisto per me stesso» ed è tecnicismo della Scolastica.

I vv. 16-17 indicano che Dio, prima della creazione, era fuori del tempo e dello spazio (ai vv. 20-21 viene detto che al di fuori della creazione non ci fu un prima o un dopo, perché il tempo non esisteva).

Al v. 21 quest’acque indica probabilmente i Cieli, forse in particolare il Primo Mobile (cfr. Gen., I, 2 e oltre).

Il v. 22 indica la forma o atto puro, corrispondente alle sostanze angeliche, la materia o potenza pura, che corrisponde al mondo sensibile, l’atto e la potenza uniti insieme, ovvero i Cieli.

I vv. 28-30 vogliono dire che l’atto divino della creazione fu immediato, mentre ai vv. 31-33 si dice che il costrutto delle sostanze, cioè la loro essenza, e il loro ordine fu concreato insieme.

Al v. 34 la parte ima  indica il mondo sensibile.

Al v. 36 si divima  («si scioglie») è probabile neologismo dantesco derivato da vime, «legame».

I vv. 37 ss. alludono alla teoria esposta da san Girolamo nel trattato Sull’Epistola a Tito, in cui afferma che la creazione degli angeli avvenne molti secoli prima di quella del mondo: essa è respinta da san Tommaso (Summa theol., I, q. LXI) e da Dante, anche in base al testo biblico (Gen., 1, 1).

L’argomento ai vv. 43-45 è di matrice aristotelica e allude al fatto che le intelligenze angeliche, restando tanto tempo senza i Cieli che erano destinate a muovere, non avrebbero adempiuto al fine per cui erano state create.

Al v. 51 il suggetto d’i vostri alimenti  («elementi») è probabilmente il mondo sensibile, sconvolto dalla ribellione degli angeli.

L’arte  di cui si parla al v. 52 non è il movimento dei Cieli, bensì la visione di Dio (al v. 54 circuir  indica il ruotare intorno al punto lumininoso).

I vv. 56-57 indicano ovviamente Lucifero, da tutti i pesi del mondo costretto  in quanto confitto al centro della Terra.

I vv. 59-60 vogliono dire che gli angeli fedeli riconobbero di aver ricevuto la loro natura dalla bontà di Dio.

Al v. 75 lettura  vuol dire «insegnamento» (come si legge, v. 71, vuol dire «si insegna»).

Il v. 83 (credendo e non credendo dicer vero) significa «dicendo queste cose in buona o in cattiva fede».

Al v. 95 trascorse  vuol dire «trattate ampiamente».

Ai vv. 97-102 Dante allude alla spiegazione dell’oscurarsi del Sole alla morte di Cristo che risaliva allo pseudo-Dionigi e ripresa da Tommaso, dovuta cioè a un’eclissi provocata dalla retrocessione della Luna: la confuta seguendo san Girolamo, perché in contrasto col Vangelo (Mt., 27, 45) e in quanto l’eclissi non sarebbe stata visibile in Spagna o in India, cioè all’estremo occidente e oriente di Gerusalemme. Il termine mente  al v. 100 non è da intendersi in senso negativo, ma forse significa solo «non dice una cosa esatta».

Al v. 103 Lapi e Bindi  indicano due nomi assai diffusi a Firenze, diminutivi di Iacopo e Ildebrando.

Al v. 111 l’espressione ne le sue guance si riferisce probabilmente agli Apostoli, nelle cui bocche risuonò soltanto il Vangelo che permise loro di diffondere la fede (altri pensano alle guance di Cristo).

Al v. 115 iscede  sta per «lazzi», «battute» ed è lo stesso termine usato da Boccaccio in Dec., Conclusione: le prediche fatte da’ frati… il più oggi piene di motti e di battute sono fuori luogo, non hanno senso.

I vv. 118-120 vogliono dire che nel cappuccio (becchetto) dei predicatori si annida un diavolo (uccel), tale che se fosse visto dai fedeli essi capirebbero il valore delle indulgenze promesse (nell’arte medievale il diavolo era spesso raffigurato come un uccello nero).

Il v. 124 vuol dire probabilmente che sant’Antonio, ovvero l’Ordine antoniano, grazie alle offerte estorte ai fedeli ingrassa il porco e altre persone ancora più turpi (la moneta sanza conio indica le vuote indulgenze e, forse, le false reliquie esibite come autentiche).

Sant’Antonio Abate (III-IV sec. d.C.), padre del monachesimo orientale, si festeggia il 17 gennaio, era spesso rappresentato con un maiale ai piedi, simbolo del demonio le cui tentazioni aveva vinto durante la sua permanenza nel deserto.

I vv. 133-135 alludono a Dan., VII, 10, in cui il profeta narra di aver visto in una visione migliaia di migliaia di angeli (diecimila volte centomila) che stavano intorno a Dio: Dante intende dire che tale numero è indicativo di una quantità grandissima, ma non è determinato.

 

5. Commento al CANTO XXIX

 

Nel canto XXIX Dante espone, per mezzo di Beatrice, i problemi principali riguardanti le gerarchie angeliche: dove, quando, come furono creati gli angeli; quando e perché avvenne la ribellione di alcuni di essi; quale fu il premio per quelli rimasti fedeli; per quale motivo sbagliano quei pensatori che attribuiscono alle creature angeliche le tre facoltà umane dell’intelligenza, volontà e memoria; il numero sterminato degli angeli e la diversa intensità con la quale godono la visione diretta di Dio.

A Dante interessa soprattutto mettere in rilievo che la creazione degli angeli fu un atto gratuito dell’amore divino, che volle estrinsecarsi in altri esseri, e che le intelligenze angeliche, i cieli e la materia prima furono creati da Dio istantaneamente e simultaneamente. 

 

A proposito delle facoltà umane attribuite agli angeli, il discorso di Beatrice diventa polemico e le sue parole raggiungono un tono particolarmente aspro e duro.

Il canto affronta altri argomenti, critici e che mettono in crisi ancora oggi, oggetto di dibattito e di discussione in varie sedi.

Le omelie, le predicazioni di oggi, svuotate di contenuto teologico e dottrinale, a volte sono comizi e proclami che vanno molto al di là dell’annuncio evangelico, anzi del Vangelo dicono poco o niente, ma dicono molto di loro stessi.

 

In poche parole, i cattivi predicatori del Vangelo, che hanno sostituito alle verità della fede cristiana le loro inutili ciance, sono rappresentati attraverso la grottesca figura del frate che predica dal pulpito con motti e con iscede, mentre il diavolo si annida nel bacchetto del suo cappuccio.

Il canto si chiude con la visione di Dio che, pur rispecchiandosi in migliaia di creature angeliche, conserva la sua eterna unità.

In sintesi:  Beatrice parla della creazione degli angeli, degli angeli ribelli, delle facoltà angeliche, del numero degli angeli. Condanna i vani predicatori.

Non penso che dobbiamo far ricorso a Celentano predicatore dal Palco dell’Ariston durante il Festival di San Remo 2012, per parlare di Dio, del cielo, degli angeli, di Cristo e della buona novella.

Al tempo di Dante, come ai nostri giorni ci sono bravi e capaci predicatori, ma anche predicatori superficiali e senza contenuti di carattere dottrinale.

Gli angeli che ci hanno accompagnati fin da bambini prefigurano la condizione che ci è stata promessa: un conoscerci senza trappole di coscienza o vuoti di cuore, senza smanie di futuro o di passato, ansie o rimpianti, senza accumulo di cognizioni, inesistenti al tempo e contemporanei alla nostra perpetua identità, interi e lievi: un riconoscerci in Dio. Il quale è tutto meno che teologo. Ed infatti Dante parlandoci di angeli ci offre l’ultimo discorso teologico della cantica, con esso, quindi, chiude i conti con la Teologia che ormai nell’Empireo è solo un umile esercizio d’insufficienza; qui nel canto XXIX del Paradiso Dante vuole, insomma, concludere il discorso con gli affanni della terra, e proprio questo canto, come ha scritto Silvio Pasquazi segna il passaggio “dall’umano al divino, dal tempo all’eternità”.

Gli Angeli non sono altro che questo forte richiamo all’eternità e ad una vita oltre la vita, in una dimensione completamente diversa rispetto a quella che stiamo vivendo adesso.

Ringraziamo Dante per averci fatto riflettere stasera sugli angeli con il commento al XXIX Canto del Paradiso, ma ci auguriamo, sinceramente, di diventare noi angeli e di incontrare sempre nuovi angeli sul nostro cammino. Sei un angelo, è l’espressione che usiamo quando ci troviamo di fronte a persone speciali. Chiamiamo infatti angeli persone buone, sensibili, attente, pieni di spirito e di sentimenti puri. Creature che superano i limiti umani e si pongono a noi come modelli di vita terrena ed ultraterrena.

Vi ringrazio per essere stati i “miei angeli” in questa sera, avendo avuto molta pazienza nell’ascoltare quanto vi ho detto con la semplicità del cuore e del pensiero.

 

Concludo questo mio intervento con un pensiero ad un grande cantautore della canzone italiana, Lucio Dalla, che al di là delle debolezze umane e dei limiti personali, ci ha lasciato un patrimonio culturale, canoro e musicale di gande spessore. Nel ricordarlo stasera alla vigilia dei suoi funerali a San Petronio in Bologna, domani 4 marzo 2012, in coincidenza con i suoi 69 anni di vita, mi piace leggere uno dei testi più belli scritti da lui e musicati da lui: “Se fosse un angelo”.

Se io fossi un angelo, chissa’ cosa farei?
Alto biondo, invisibile,
che bello che sarei!
E che coraggio avrei!
Sfruttandomi al massimo, è chiaro,
che volerei zingaro, libero.
Tutto il mondo girerei.
Andrei in Afghanistan e piu’ giu’ in Sud Africa
a parlare con l’America e se non mi abbattono
anche coi russi parlerei.
Angelo, se io fossi un angelo
con lo sguardo biblico li fisserei.
Vi do’ due ore, due ore al massimo
poi sulla testa butterei acqua sui vostri traffici
sui vostri dollari, sulle vostre belle fabbriche di missili.
Se io fossi un angelo, non starei mai nelle processioni,
nelle scatole dei presepi.
Starei seduto fumando una Marlboro,
al dolce fresco delle siepi.
Sarei un buon angelo, parlerei c
on Dio, gli ubbiderei
amandolo a modo mio, a modo mio.
Gli parlerei a modo mio e gli direi…
i potenti che mascalzoni!
E tu cosa fai, li perdoni?
Ma allora sbagli anche tu!
Ma poi non parlerei piu’.
Un angelo, non sarei piu’ un angelo.
Se con un calcio ti buttano giu’,
al massimo sarei un diavolo.
E  francamente questo non mi va’!
Ma poi l’infernocos’e’?
A parte il caldo che fa’,
non e’ poi diverso da qui,
perche’ io sento che, son sicuro che,
io so’ che gli angeli sono milioni di milioni,
e non li vedi nei cieli
ma tra gli uomini.
Sono i piu’ poveri, e i piu’ soli, quelli presi tra le reti.
E se tra gli uomini nascesse ancora Dio
gli ubbiderei, amandolo a modo mio, a modo mio, a modo mio. a modo mio.

 

Centro Culturale Francescano. Commento al XXIX Canto del Paradisoultima modifica: 2012-03-05T00:12:00+01:00da pace2005
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